Mezzo secolo e non sentirlo: a cinquant'anni dal 1968, l'album "Storia di un impiegato" di Fabrizio De André rivive nella voce del figlio Cristiano. Con un nuovo arrangiamento e un messaggio sempre attuale.
Riparte da Genova, città natale e d'ispirazione, l'ultima esperienza musicale targata Cristiano De André. Debutta infatti al Carlo Felice martedì 15 gennaio Storia di un impiegato, il nuovo esperimento della formula "De André canta De André", già collaudata con successo sui palchi di tutta Italia.
Questa volta Cristiano, polistrumentista e arrangiatore di talento, oltre che raffinato cantautore, si misura coraggiosamente con la difficile eredità paterna approcciandosi a un vero e proprio album manifesto. Storia di un impiegato è infatti l'opera di Faber che, insieme a La buona novella, maggiormente contribuì a smuovere le coscienze sociali e a portare, negli anni di piombo, la concreta speranza di costruire un mondo migliore.
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Anniversario di un'opera rock
Cristiano torna volutamente sul palco in corrispondenza di un doppio e cruciale anniversario: i 50 anni dai moti del '68 e i 20 dalla morte del padre, scomparso nel 1999 in un gennaio così simile a quello cui dedicò la splendida Preghiera in gennaio per la morte di Luigi Tenco. Torna, questo ardimentoso figlio d'arte, con quella che ama definire un' "opera rock". Se infatti il messaggio e i testi dell'album restano preziosamente e fedelmente custoditi, l'arrangiamento è ripensato in chiave contemporanea per permettere a Cristiano di esprimere il suo gusto musicale più autentico e raggiungere al contempo la sensibilità dei giovani e giovanissimi.
L'eredità di Faber
La canzone d'autore portata anche a chi non ascolta abitualmente la canzone d'autore, il genovese più amato ricordato nella sua Genova che per lui tanto seppe commuoversi, indignarsi, fermarsi a pensare. Se, come diceva Italo Calvino, ereditare significa un delicato equilibrio tra conservare e distruggere, questo nuovo omaggio a Faber suona come una delicata, preziosissima prova che la sua eredità non ha smesso di vivere nella nostra cultura e nelle nostre emozioni.
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